Il federalismo dimenticato in Europa*
La questione regionale fondamento della nuova Europa e non premessa per il suo disfacimento. Seguo la crisi in Ucraina su RT, l’emittente russa in lingua inglese. Una TV con il difetto di dare notizie assolutamente di parte, comunque utili ad allargare la prospettiva. RT si dilunga sul referendum veneto molto più dei media italiani. Descrive una regione impedita alla secessione allo scopo di presentare la Crimea come un luogo dove trionfa la democrazia e il diritto all’autodeterminazione. Lo stesso succede – sempre secondo l’emittente russa – in Catalogna, Scozia e Sardegna dove ai popoli oppressi l’Europa negherebbe il diritto all’indipendenza. La descrizione dei fatti europei da parte di RT è senza dubbio paradossale e strumentale, ma fa breccia in un problema reale. La questione regionale ha sempre svolto un ruolo cruciale nella costruzione dell’identità sia dei singoli Stati sia dell’Unione Europea. Gran parte degli Stati europei nascono da aggregazioni di unità politiche pre-rinascimentali che oggi sono resuscitati dal folclore e da rivendicazioni opportunistiche. In Italia, per di più, le regioni amministrative hanno poco a vedere con la storia e la geografia: i loro confini furono tracciati a fini statistici e corrispondono poco a identità storico-culturali. Così troviamo l’Emilia unita a una Romagna smembrata in tre regioni; la Venezia Giulia associata al Friuli e alla Carnia; lo stesso Veneto include zone dove si parla ferrarese, ladino e friulano. In caso di secessione saranno tutelati i ferraresi a sud del Canal Bianco come i Tartari in Crimea?L’Italia più volte è stata sul punto di adottare un modello federale auspicato da numerosi studiosi e patrioti risorgimentali. Alla fine è sempre prevalso il modello centralista proprio per contenere le ripetute spinte separatiste che, per esempio, dopo la seconda guerra mondiale avrebbero messo in discussione non solo l’unità del paese, ma anche l’appartenenza al blocco occidentale di un nord dove i comunisti erano in netta maggioranza. Oggi si parla di federalismo – o addirittura di secessionismo – solo a livello fiscale prescindendo da quelle considerazioni più ampie che sarebbero necessarie anche per legittimare una diversa ripartizione dei tributi. Non si collega il federalismo a una nuova idea di Unione Europea come sarebbe il caso perché consentirebbe una critica alla stato nazionale basata su ideali più ampi e non disfattisti. Al contrario, i secessionisti oltre che contro lo stato italiano, sono anche anti europei, la qualcosa appare incomprensibile. Con il provincialismo e l’egoismo nessun popolo ha mai costruito la sua storia, ma ha solo posto le basi dell’ asservimento e del declino. Un discorso serio sul federalismo dovrebbe partire dai temi essenziali della solidarietà e della sussidiarietà che sono alla base della convivenza europea e nazionale. Sarà davvero opportuno ripensare l’Europa e gli Stati che la compongono. Le regioni potrebbero svolgere un ruolo efficace nel creare un sistema che sappia coniugare diversità, competizione e coordinamento. Sulla base dell’unità di idee e cultura potrebbero rivendicare una vera autonomia. Regioni europee autonome consentirebbero di articolare meglio la solidarietà locale e la partecipazione alle spese per riportare un cittadino maturo al centro dei processi politici. Ma le premesse non sono certo quelle su cui oggi si discute: dal Veneto alla Catalogna prevale la vulgata del “padroni a casa nostra”, del “fuori gli stranieri” e del “teniamoci i nostri soldi”. Anche le università e la cultura alta è assente da questo dibattito così che il discorso sul federalismo e sull’Europa oggi è ridotto a iniziative sciocche, ma pericolose perché facili da strumentalizzare a fini autoritari.
- Un editoriale di otto anni fa per il Corriere del Veneto