Le denunce, i colpevoli, le discriminazioni
L’improvvida uscita di Beppe Grillo sull’accusa di stupro al figlio ha risollevato una questione a cui tutti, uomini e donne, prestano un’attenzione a volte persino morbosa. Il modo in cui se ne parla richiede alcune riconsiderazioni poiché il linguaggio adottato nasce in un tempo in cui il costume, la tecnologia, la società e molto altro erano diversi. Anzitutto, si parla della violenza sulle donne, ma molti maschi subiscono violenze anche peggiori da altri maschi. Di questo si parla di meno, se non per niente. Nel caso se ne parli, lo si fa con molti più pregiudizi di quelli che colpiscono (e soprattutto colpivano) le donne. Perché? Le donne, grazie al cambiamento del costume e a una campagna di informazione incisiva, che dura ormai da almeno sessant’anni, sono molto più propense di un tempo a denunciare. Oggi, possono farlo presso funzionarie di polizia istruite a raccogliere le denunce. Sono accompagnate da assistenti sociali e psicologi. Pensate invece a un maschio – gay o peggio ancora etero – che deve denunciare una violenza subita a un anziano maresciallo con i baffi in una stazione di provincia! La possibilità che il Carabiniere o l’agente di P.S. sia omosessuale o sia sensibile alle problematiche della violenza subita dai maschi è minima. Sebbene il personale di polizia maschio oggi sia preparato anche a questo, è poco probabile che il denunciante si rivolga con la fiducia che il suo trauma sia capito, creduto e trattato con rispetto. La donna di oggi si trova in condizioni di minore disagio rispetto al passato nello sporgere una denuncia presso un’altra donna da cui presume possa ricevere maggiore comprensione.
Il fatto di parlare continuamente di questi episodi e sempre e completamente con un pregiudizio favorevole alle donne agevola giustamente a esporre denunce che forse un tempo sarebbero state taciute. Questo è un progresso ma non si può tacere che, all’aumentare dell’attitudine a denunciare corrisponde un aumento dei possibili abusi.
Siamo alla vera violenza e all’odiosa discriminazione contro i maschi se si permette a Dacia Maraini di dichiarare in televisione, senza che nessuno obietti, che “in caso di denuncia di violenza, si deve sempre credere alle donne”! È una frase imputabile all’età e forse in parte anche alla mancanza di lucidità mentale poiché già una decina di anni fa l’anziana scrittrice aveva fatto la stessa incredibile affermazione. Non sono frasi giustificabili se proferite da un personaggio pubblico e ancor più colpevoli sono tutti coloro che hanno taciuto. Le donne della generazione di Maraini (84 anni) avevano in effetti molta più difficoltà a denunciare le violenze subite poiché avrebbero messo a repentaglio la loro reputazione sociale, se rese pubbliche. Non si nega che anche oggi per una donna (ma ancor più per un uomo) sia gravoso denunciare una violenza. Dobbiamo però ammettere che lo è certamente in misura minore che nel passato anche grazie alle campagne sul genere di Me Too e alle campagne di sensibilizzazione, da cui sono stati esclusi quasi completamente i maschi omosessuali ed etero. Bisogna ammettere e tenere conto che se cresce (giustamente) la propensione a denunciare una violenza subita, aumenta inevitabilmente la probabilità di abusi e di false denunce a cui sono esposti maschi innocenti.
È purtroppo evidente e inevitabile che spesso non sia possibile provare una violenza sessuale (su maschi e su femmine) soprattutto quando essa avviene in forme subdole nell’ambito della psiche prima che del corpo. Le violenze psicologiche sono subite anche dai maschi etero da parte delle donne, ma non ci sono studi così vasti e conosciuti come per quelle sulle donne e sono poche quelle sui maschi omosessuali. La violenza psicologica è anche più difficile da provare e da denunciare e ne sono succubi i maschi tanto quanto le femmine. Ma secondo Maraini: “le donne vanno credute” senza contraddittorio! Sollecita una vera androfobia che non fa bene nemmeno alle donne.
All’autorità giudiziaria spetta un compito difficile e un equilibrio in continuo mutamento, assieme alla mentalità e al costume, per stabilire la colpevolezza di chi è accusato di violenza e persino di stupro. Talora una cittadina esemplare, che sa di avere subito violenza, deve sapere accettare che non è giusto che il colpevole sia condannato se non si può provare la violenza. È triste e frustrante, ma è meglio che il linciaggio e le condanne sulla base di possibili delazioni come vorrebbe Maraini e chi la segue. Non si può tollerare che innocenti siano condannati dalla giustizia e dall’opinione pubblica. È un principio della civiltà a cui donne e uomini civili devono sottostare.