Le parole dell’inno nazionale italiano sono vecchie e apparentemente sciocche, nonché truculente. Se scritte oggi, fuori contesto, sarebbero oltre i limiti del ridicolo. Invece, le stesse parole, interpretate in metafora, e la musica trascinante sono particolarmente adatte a un evento sportivo: danno la carica come per l’appunto è richiesto a un coro di tifosi e atleti. Il nostro inno piace molto agli stranieri che non capiscono le parole. E piace molto ad atleti e tifosi che si caricano dicendosi “pronti alla morte” tutti insieme come fratelli uniti in “coorte” al richiamo dell’impresa, dell’Italia. Non rappresentano certo la civiltà italiana e il Paese di oggi. Quanto alle parole non è che la Marsigliese sia da meno per truculenza (Qu’un sang impur abreuve nos sillons!). L’inno britannico è alquanto sciocco sia come musica sia come testo. Se lo si prende come preghiera, invece, sembra funzionare brillantemente vista la longevità della regina: “Send her victorious, Happy and glorious, Long to reign over us, God save the Queen“. A differenza dell’inno degli italiani e della marsigliese, come musica da tifo sportivo tende piuttosto ad addormentare che a caricare. Forse il soporifero inno ha contribuito a far perdere la partita. L’inno tedesco – Das Lied der Deutschen (il canto dei tedeschi) – invece è nobile. Le parole sono tratte da una poesia di Hoffmann von Fallensleben, una figura non molto diversa da Mameli, un rivoluzionario perseguitato per le sue idee liberali. Le parole sono di pace, modestia e unità scritte da un uomo anziano, al contrario del canto degli italiani composto dal nostro giovane ed esagitato poeta genovese morto a soli 22 anni per difendere Roma conquistata. La prima strofa: “Deutschland über alles” non viene più cantata e comunque aveva un significato originario diverso da quello che le venne scorrettamente attribuito in seguito. Oggi si canta solo l’ultima strofa che recita: “Einigkeit und Recht und Freiheit/Für das deutsche Vaterland! /Danach lasst uns alle streben/Brüderlich mit Herz und Hand”! La musica era stata tratta nientemeno che da Haydn, mutuata dall’inno dell’impero austro-ungarico che a Trieste, Istria e Dalmazia si cantava anche in italiano (“Serbi Iddio l’austriaco regno/salvi il nostro imperator”). Gli italiani schernivano questo inno chiamandolo il “Serbiddìola”. Tra quelli che conosco – non ho fatto ricerche particolari – a me piaceva molto l’inno della DDR. Se la musica era solida, ma nulla di speciale, le parole erano dolci e basate su sentimenti di speranza, pace e fratellanza, persino un poco malinconiche: “Auferstanden aus Ruinen/Und der Zukunft zugewandt/Lass uns dir zum Guten dienen/Deutschland, einig Vaterland. /Alte Not gilt es zu zwingen/Und wir zwingen sie vereint, Denn es muss uns doch gelingen/Daß die/Sonne schön wie nie/Über Deutschland scheint”. Potrei scrivere ancora qualcosa sull’inno americano e su quello russo, visto che li conosco entrambi, ma non aggiungerei nulla alla seguente conclusione: gli inni nazionali raramente rappresentano la realtà delle cose, ma sono tradizioni che si ripetono alle quali si attribuiscono significati diversi a seconda dei tempi. Il canto degli italiani dal punto di vista sportivo è uno dei più coinvolgenti. Per rappresentare l’Italia di oggi, la sua cultura e i suoi cittadini sceglierei senz’altro qualcosa di più attuale e colto. Ma non ne vale proprio la pena: teniamoci Mameli che è ormai ben assimilato e suscita entusiasmo agli eventi sportivi dove viene per lo più eseguito. #mameli #innonazionale