Il conflitto Israelo-Palestinese ha conseguenze sulla politica internazionale e interna dei Paesi di tutto il mondo. Avvelena le relazioni tra Stati e tra persone da decenni. Se davvero c’è qualcuno interessato a risolvere il conflitto – e su questo nutro qualche dubbio – la soluzione può passare soltanto attraverso una sconfitta militare, diplomatica e morale di Israele che è nell’interesse dei cittadini israeliani e degli ebrei di tutto il mondo. La resa non è una vergogna, tutt’altro; come non lo fu per i bianchi la fine dell’apartheid in Sud Africa dopo il lungo boicottaggio applicato dai Paesi che allora erano ancora civili. E costituirebbe una speculare ed esemplare sconfitta del terrorismo.
Inoltre, la sconfitta la si può camuffare con l’acquisizione di un senso di responsabilità, cambio di governo e molte altre utili ipocrisie. Significa comprendere che è più conveniente per tutti la pace della guerra, mettere da parte le passioni e pensare agli interessi. A meno che i cittadini non siano succubi di coloro il cui interesse è la guerra.
La sconfitta militare di Israele non passa affatto attraverso una guerra, al contrario, eviterebbe le guerre e le carneficine che hanno sporcato l’anima di un popolo per secoli pacifico. Se gli USA e l’Europa smettessero di sostenere militarmente e politicamente Israele, il suo governo sarebbe costretto a trovare un’altra via per ristabilire la convivenza con i propri vicini venendo ad accordi anche con i gruppi che ora definisce terroristi. Poiché l’arsenale che ha a disposizione garantisce la difesa almeno per un decennio, c’è il tempo per cambiare la politica militare rimanendo sicuri e trattando la de-escalation militare anche delle altre forze in campo. Ma questo può avvenire solo con l’aiuto di chi oggi sostiene i militari israeliani.
La sconfitta diplomatica passerebbe per l’isolamento internazionale come quello che aprì la strada al reingresso del Sud Africa nella comunità internazionale. Per il ritorno dei territori occupati abusivamente; per la costituzione di uno Stato palestinese indipendente nonché di altre ampie concessioni, tra cui la libertà di circolazione e la trasformazione dello Stato di Israele in una repubblica – non in un ottocentesco Stato nazionalista ebraico – in cui tutti i cittadini sono uguali: come la Francia e gli Stati Uniti, per esempio. Per procedere concretamente su questa via è necessario che il governo di Israele si renda conto che non può più contare sulla superiorità militare e deve passare a una diplomazia più umile e basata sull’economia, la convivenza e la cooperazione e non sulla sola superiorità militare che oggi lo tiene in vita artificialmente provocando morte e odio. L’opzione militare è quanto di meno tradizionalmente ‘ebraico’ ci sia, ma purtroppo Israele è nelle mani dei militari, dei segregazionisti, dei nazionalisti e in una parola di ‘non ebrei’, come direbbe anche Moni Ovadia.
La sconfitta morale, oltre che sull’ammissione dei crimini contro l’umanità e di guerra con la condanna di chi li ha commessi (ma se si evitano e moderano le ritorsioni è anche meglio), si fonda sulla cancellazione dell’eccezionalità dello Stato di Israele riconducendolo alla normalità di ogni altro Stato. Anche smettendo di parlare dell’olocausto avvenuto quasi un secolo fa e che oggi serve solo ad atteggiarsi a eterna vittima con la conseguenza che fomenta un antisemitismo cretino.
Tutto il mondo sostiene la causa palestinese, anche per mezzo di una propaganda non meno efficace di quella occidentale. Solo in Nordamerica ed Europa i governi e i media sono concordi nel giustificare i massacri di civili e bambini palestinesi con una propaganda ormai simile a quella dei regimi totalitari.
Il peso delle ritorsioni e dei tumulti, che interverranno dopo questa ennesima rappresaglia israeliana, lo sosterremo solo noi europei che conviviamo con una popolazione musulmana in gran parte emarginata nelle periferie delle città, refrattaria alla nostra propaganda e aperta a quella dell’informazione araba, persiana, turca, cinese, russa che la guerra US/NATO in Ucraina ha unito.
Già sono cominciati gli attentanti ‘fai da te’ di fanatici e psicopatici che hanno trovato una ragione per sfogarsi: secondo il calcolo delle probabilità, su milioni di persone è quasi certo che qualcuno decida di accoltellare, sparare investire con un camion chi odia sia pure in astratto.
Presto arriveranno anche gli attentati e le sommosse di cellule minori che i nemici dell’occidente lasceranno crescere e non fermeranno pur senza offrire né rivendicare il sostegno. Queste cellule trovano fertile terreno nelle periferie urbane europee, nella rabbia covata, nell’anti islamismo populista. Macron e Sunak hanno dimostrato, a ragione, tutta la loro preoccupazione.
Tra un anno potrebbe esserci anche il grande attentato a meno che i servizi segreti di ambo le parti – che ad alto livello si conoscono perfettamente – non si mettano d’accordo per evitarli (o magari per favorirli).
Ricondurre alla ragione Israele significa restituire a quel Paese il rispetto e la dignità. Inoltre, proteggere i palestinesi (e gli israeliani da loro stessi oltre che dai loro nemici) è l’unico modo per l’Europa di continuare a vivere pacificamente in coabitazione con i milioni di musulmani e di arabi già presenti e quelli che quotidianamente sbarcano avendo sentito le notizie provenienti da Gaza sulle televisioni che raccontano una storia – giusta o sbagliata che sia – completamente diversa dalla nostra.
Stabilire quale sia la storia vera spetterà agli storici di domani, ma è alquanto irrilevante al momento. Oggi miliardi di persone non credono alla nostra versione dei fatti e milioni di essi sono tra noi. L’Europa e i suoi governi deve riacquistare credibilità e opporsi all’egemonia americana in progressivo disfacimento.