Se dovremo morire, moriremo per difendere i nostri diritti – Toro Seduto
(Mia traduzione di un articolo di John Wight. L’articolo è enfatico come si conviene nella celebrazione di un eroe. Non ne prendo le distanze dai contenuti, ma dal tono che non mi è usuale. Faccio notare però come milioni se non miliardi di persone non credono alla versione del “cattivo barbaro terrorista ammazzato”)
Yahya Sinwar non era un “terrorista”, era un combattente per la libertà. È morto come campione della causa del popolo palestinese, che è la causa dell’umanità nel nostro tempo.
I suoi ultimi momenti su questa terra, ripresi dalle telecamere, lo hanno visto lanciare un bastone contro un drone israeliano. Il simbolismo di questo ultimo atto di sfida mostra il leader ribelle di un popolo indigeno che si rifiuta di morire docilmente ai piedi dell’oppressore coloniale.
Sinwar è stato deriso come “selvaggio”, “bestia”, “barbaro” e “assassino di massa”. Ma questo eroe palestinese ha sfidato tutto questo. Il suo era uno spirito forgiato nel crogiolo della pulizia etnica, dell’apartheid e della supremazia razziale. E la sua morte, il modo in cui è avvenuta, non lascia dubbi: si può uccidere il rivoluzionario, ma non si potrà mai uccidere la rivoluzione.
Israele non è un Paese e non è uno Stato. Israele è invece un progetto coloniale di coloni europei bianchi. Sono i confederati schiavisti di oggi e ci ricorda che noi, come specie, abbiamo ancora un viaggio da completare prima di poter rivendicare di essere degni del dolore con cui la nostra madre collettiva ci ha messo al mondo.
Sinwar è molto più vicino ai martiri ebrei del Ghetto di Varsavia di quanto Netanyahu o Ben Gvir possano mai affermare. La sua, come la loro, è stata una lotta per la sopravvivenza, mentre la loro, come i nazisti – come la Confederazione degli Stati Uniti – è stata una lotta per l’egemonia maligna dell’etno-supremazia.
Il 7 ottobre è stato un urlo dalle viscere dell’oppressione strutturale. Yahya Sinwar era un uomo che si rifiutava di rimanere in ginocchio. Come disse il grande James Connolly, l’icona del socialismo ribelle irlandese giustiziato dagli inglesi per aver partecipato alla Rivolta di Pasqua a Dublino nel 1916. “I grandi appaiono grandi solo perché siamo in ginocchio. Alziamoci”.
Ho un messaggio per i “soldati” dell’IDF, ed è questo:
Il vostro assalto omicida contro 2,2 milioni di uomini, donne e bambini di Gaza è in corso da oltre un anno. Lanciato in risposta alla rabbia omicida di un popolo occupato, assediato e oppresso, la cui rabbia omicida è figlia del vostro stesso oppressore, ha provocato devastazioni e carneficine senza precedenti.
Affamati, assediati, ma ancora indomiti, i palestinesi di Gaza non hanno potuto fare altro che sopportare le vostre bombe e i vostri missili che sono piovuti su di loro. Le vostre bombe e i vostri missili hanno preso di mira ospedali, scuole, edifici civili, case, stazioni di polizia e persino le sedi delle Nazioni Unite dove la gente ha cercato rifugio – credendo ancora, nonostante decenni di delusioni e tradimenti, nella santità e nella protezione del diritto internazionale.
Sì, le vostre bombe hanno cercato e trovato le loro vittime, incenerendo e facendo saltare in aria giovani e anziani, mentre il vostro governo cerca di convincere il mondo che è stato fatto ogni sforzo per evitare vittime civili in quella che avete la faccia tosta di descrivere come un’operazione militare per sradicare il terrorismo e garantire la sicurezza dei vostri cittadini. Eppure, come ha avvertito Albert Camus, “il benessere del popolo è sempre stato l’alibi dei tiranni”.
“Israele ha il diritto di difendersi”, così affermate instancabilmente voi e i vostri sostenitori in Occidente, in quella che è una perversa giustificazione del massacro genocida. Ma che dire dei palestinesi? Non hanno lo stesso diritto? Non hanno il diritto di resistere alla più brutale e prolungata occupazione e al sistema di apartheid mai concepito da un popolo su un altro?
Che razza di ipocrisia è questa?
Quando siete entrati a Gaza lo avete fatto con l’omicidio in mente e l’odio nel cuore. Era ed è un’operazione militare informata dall’ideologia razzista del sionismo: suprematista bianca nel carattere e maligna nella pratica. Gaza è stata già e precedentemente isolata dal resto dell’umanità. Questa è una punizione collettiva che avete inflitto a un popolo per aver osato esistere in barba alla gerarchia del valore umano che avete stabilito nella vostra mente in nome non del progresso ma del regresso.
Gaza, a più di un anno di distanza, è in rovina, lasciando più di un milione di senzatetto senza materiali con cui ricostruire vite distrutte. Ciascuna delle persone colpite ha il diritto di chiedersi se nascere palestinesi significhi nascere meno che umani. Ha il diritto di chiedersi se è stato condannato dalle grandi potenze dell’“Occidente civilizzato” a essere ridotto a un destino di dissoluzione ed estinzione come popolo – come figlio di un dio minore?
Ma a prescindere dalle calunnie e dalle menzogne impiegate dai vostri governi, dai loro portavoce e dalle donne che appaiono sui nostri schermi televisivi con la sicurezza di chi sostiene di agire in nome della democrazia e della civiltà, il popolo di Israele continua a rifiutarsi di svolgere il ruolo scelto.
In ultima analisi, quella di Yahya Sinwar è stata una vita vissuta nell’oppressione, ma con uno spirito che rifiutava di essere definito da qualsiasi altra cosa che non fosse la resistenza ad essa.