La mia Tata era una donna tanto brutta quanto buona e intelligente. E vi assicuro che era eccezionalmente intelligente e con un cuore d’oro. Passò i suoi ultimi anni in una decorosa casa di riposo per anziani, dove succedevano cose strane.
Qualche volta l’andavo a trovare per passare con lei un paio d’ore che, nonostante le sue condizioni precarie di salute, riempivamo di risate ascoltando i suoi ripetuti aneddoti su mia madre bambina e sui miei nonni dai quali era stata assunta come domestica nel 1928 quando aveva quattordici anni e non li aveva più lasciati vivendo assieme a loro. Anche il ricordo dei momenti tristi e drammatici della vita famigliare – e non furono pochi – scorrevano con leggerezza nei suoi racconti dai quali traspariva più la soddisfazione di averli superati che il dolore, le ansie e le ferite che avevano provocato. Coglieva il lato comico delle persone e dell’esistenza in generale sorvolando su quello drammatico che pur conosceva.
Si rivolgeva ai miei nonni con umorismo e ironia nonostante fossero i suoi datori di lavoro. Portava loro il rispetto di un autentico affetto che i nonni ricambiavano con la stessa generosità. A questo lei aggiungeva la riconoscenza di averla accolta in casa come cameriera a quattordici anni salvandola da una condizione di grande povertà materiale e morale. Lei accettava – anche troppo – il diverso stato sociale, senza esimersi dall’esprimere, all’occorrenza, la propria opinione con modesta fermezza. Come domestica era una nullità: la sua pigrizia era proverbiale, non sapeva fare da mangiare, faceva le pulizie con tale superficialità che ogni tre mesi si doveva assumere un’altra collaboratrice famigliare per riportare la casa a un livello decoroso. Si dedicava con impegno solo alla pulizia delle scarpe per cui fu opportuno creare il falso mito che nessuno meglio di lei era capace di farle brillare a tal punto. Con questo trucco si rivalutava il suo fittizio ruolo di domestica.
Entrò in famiglia, in sostituzione di sua sorella, quando mia mamma era appena nata e ne seguì la crescita e persino gli studi. Nonostante avesse fatto solo la terza elementare, vivendo con i miei nonni, imparò a parlare un italiano perfetto, persino forbito, con cui impressionava gli ospiti dei nonni quando (pigramente) li serviva a tavola o durante le frequenti visite che si succedevano in casa. Nondimeno, continuava a parlare comunemente in dialetto senza farsi alcun vanto dell’acquisita padronanza della lingua nobile. Salvo una volta, quando a causa di qualche disturbo, la nonna la portò dal medico – che si dà il caso fosse il padre del noto direttore d’orchesta Riccardo Muti. Il medico si rivolgeva a lei in dialetto stretto e lei rispondeva in perfetto italiano. Ma il medico era così convinto che la ragazza non parlasse italiano che si sentiva in dovere di tradurre a mia nonna. Di questo ridevamo ogni volta che lo raccontava con umorismo e senza alcuna rivalsa o orgoglio perché la sua caratteristica era solo e soltanto la bontà.
Buona parte dei miei ricordi di bambino ruotano attorno a lei anche quando riguardano i nonni e la mamma. Soprattutto, io mi sentivo amato e coccolato dalla Tata che mi faceva ridere anche subito dopo essere scoppiato in lacrime per qualche sciocchezza di bambini. Si ritirò nella casa di riposo quando era ormai quasi cieca e impossibilitata a camminare a causa del diabete. Nonostante fosse in quelle condizioni, quando l’andavo a trovare era capace di infondere a tutti un elegante e mai volgare buon umore e allegria.
Una volta ci raccontò di quando le amputarono le gambe a causa del diabete. Subito dopo l’intervento si presentò da lei uno strano personaggio, il quale le disse che era necessario celebrare il funerale dell’arto amputato. Naturalmente, chiese soldi per la cerimonia e per una decorosa sepoltura della gamba trapassata. La Tata lo incoraggiò, discusse le modalità della cerimonia, la data e concordò il prezzo fin nei dettagli. Poi lo denunciò ai Carabinieri che scoprirono che altri anziani erano stati gabbati con simili imbrogli.
Nota: Mi sono ricordato di questo episodio leggendo “L’idiota” di Dostoevskij in cui il generale Ivolgin racconta un episodio simile… e mi ha permesso di volgere un pensiero alla mia Tata venuta a mancare poco prima dell’inizio di questo secolo.