I 5STELLE TORNANO ALL’AMBIENTALISMO
Il ministero per la transizione ecologica richiesto e ottenuto dal M5stelle sulla base della propria forza parlamentare e del programma con cui s’era presentato alle elezioni è un’ottima notizia per il futuro governo. Anzitutto, faccio un’osservazione lessicale: si parla – finalmente – di “transizione ecologica” e di dismette la sviante parola e l’obsoleto compromesso dell’antico “Sviluppo sostenibile”. Un termine orribile, falso e ipocrita che ho sempre contestato e che ha provocato gravi danni al pianeta, ovviamente, ma anche ai movimenti ambientalisti che vi si sono adeguati. Un ministero (per ora solo definito) della transizione ecologica implica un’impostazione diversa da quella dello sviluppo sostenibile. Si arriva persino troppo tardi, visto che la trasformazione dell’economia ha già intrapreso questa strada. Saranno compiute scelte più o meno radicali e tempestive, ma la via è segnata. Quando si affermò il compromesso al ribasso dello “sviluppo sostenibile” – quasi quarant’anni fa – esso fu giustificato dall’esigenza di consentire ai Paesi emergenti (tra cui allora la Cina) di raggiungere livelli di benessere pari a quelli occidentali la cui popolazione richiedeva una maggiore attenzione alla protezione dell’ambiente e della salute. Oggi, la Cina s’è posta all’avanguardia nella transizione ecologica che è ancora solo un passo in avanti, ma il cui esito dovrà essere una vera “trasformazione ecologica”. Gli ambientalisti – da anni, soprattutto in Italia, ibernati e diventati conservatori o radicali velleitari – hanno ancora molto da fare e da lottare per accelerare un processo ancora irto di ostacoli e pieno di contraddizioni.Il ritorno all’ambientalismo del M5stelle e il suo peso politico in Parlamento consente di sperare in almeno due esiti apprezzabili. Il primo consiste nell’imprimere una direzione ecologista al governo. Il secondo di ritrovare una propria identità che nel corso di questi anni è andata appannandosi a causa degli ovvi e responsabili compromessi a cui è sottoposto qualsiasi partito di governo.Se, come avevo previsto già nel 2013, il M5stelle si dividesse tra un gruppo radicale minoritario e uno maggioritario più moderato, la politica ambientalista del governo ne uscirebbe stimolata e forse rafforzata da questa dialettica interna di un Movimento diviso nella politica, ma unito sugli obiettivi. Infatti, chi è rimasto al governo, dopo avere ottenuto con successo il ministero della Transizione ecologica e un programma ambientalista, sarebbe incalzato dai radicali (“compagni che sbagliano”?) e sarebbe costretto a sostenere con forza le proprie posizioni senza cedere alle pressioni conservatrici del resto del governo che dovranno sempre fare i conti con il forte gruppo parlamentare dei 5stelle. In questo modo il Movimento otterrebbe il secondo obiettivo, quanto mai necessario oggi: ritrovare un’identità sbiaditasi negli ultimi due anni e prepararsi alle nuove elezioni con qualche possibilità di successo.Rimane un terzo obiettivo: conservare un rapporto con il PD, pur sempre in posizione dialettica. Senza un’alleanza stabile con il M5stelle, il PD perderebbe ancor più quella connotazione progressista a cui si ispira una parte consistente dei suoi elettori e si dissolverebbe in un magmatico centrismo privo di identità. Al M5stelle l’alleanza con il PD è necessaria per costituire l’unica possibile massa critica in grado di fare fronte all’egemonia della destra che con Fratelli d’Italia all’opposizione si candida a subentrare al governo Draghi.