Un problema di genere
Sui media il dibattito sul DDL Zan è condotto a un livello di profonda ignoranza e disinformazione. Il problema che la legge in discussione suscita in Parlamento – e nella società – non riguarda i reati contro LGTBI+ e la severità delle relative pene. Su questo i conservatori potrebbero anche essere d’accordo: una volta approvata la legge, se apostrofo un omosessuale dandogli del “culatone”, sono condannato in modo più probabile e più severo di quanto già non avvenga oggi. Va bene, cambia poco.Il vero problema concerne l’articolo 1 che introduce una precisa e colta definizione di genere e sesso con la quale io concordo pienamente e che sostengo persino da più tempo di Zan. È ovvio che i conservatori non possano accettare tale definizione che è un vero e proprio cavallo di Troia per passare da una società basata sulla differenza tra uomo e donna (non solo maschio e femmina) a una diversa organizzazione in cui questa differenza è considerata irrilevante dal punto di vista sociale e quindi legislativo.
Si dichiara infatti che “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.
I conservatori possono essere arroganti omofobi oppure moderati tradizionalisti con una diversa concezione del sesso, del genere e della famiglia tipica. Ma non tutti sono scemi. Hanno capito benissimo che questa definizione, introdotta nella legge, apre la strada a una diversa concezione dell’identità non solo sessuale, ma anche culturale (il genere). La legge, con il pretesto di punire l’omofobia e le altre discriminazioni, apre una breccia non piccola che porta a un cambiamento radicale in un’organizzazione sociale basata sulla differenza e la collaborazione uomo/donna, ascritta per nascita. I cattolici – ma non tutte le confessioni cristiane – rifiutano di accettare questa impostazione senza reagire o per lo meno senza discuterne le conseguenze complessive. Nel momento in cui si sancisce la possibilità de “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”, io potrei dichiararmi di genere femminile. È un diritto che veramente rivendico e che mi piacerebbe vedere garantito e apertamente discusso. Con un’interpretazione estensiva della legge, se domani un candidato in campagna elettorale dichiarasse di essere contrario al matrimonio tra coppie omosessuali, potrebbe essere accusato di discriminazione. Ovvio che i conservatori si oppongano e hanno le loro ragioni, che pure non condivido. Solo discutendole si può superare l’impasse e approvare la legge da parte di una maggioranza molto composita. Non con un colpo di mano.
Il DDL Zan può essere un espediente tattico per conquistare posizioni nella guerra per la trasformazione della società. Combattiamo questa guerra sullo stesso fronte da molto tempo. Ma l’onestà intellettuale impone, tuttavia, di affrontare la questione dei rapporti di genere, delle libertà civili, della riforma della società e del matrimonio in modo aperto e chiaro. Poiché considero l’onestà come la migliore forma di astuzia, essa è anche il modo più efficace per progredire verso gli obiettivi desiderati.