Il mio amico Raphael – Rafa per gli amici – soffriva di una sindrome di dipendenza dal sesso: “compulsive sexual behavior” dicevano gli americani che catalogano tutto. Non c’era donna nel campus che Rafa non corteggiasse. Da un sondaggio, effettuato alla mensa, pare che il tasso di successo nel portarsele a letto superasse il 50%. In quegli anni, tuttavia, per ogni spagnolo (ogni latino in genere) era troppo scontato venire considerato a priori macho e maschilista e quindi essere stigmatizzato come persona poco raccomandabile. Nel campus, non erano anni facili per gli eterosessuali bianchi, maschi e soprattutto latini, discriminati dagli omosessuali, dai neri e dai “diversi” in generale che erano diventati i veri “uguali”. Il dibattito sulle diversità di genere era agli albori e, come sosteneva Lenin, l’estremismo sarebbe la malattia infantile dei movimenti. Il femminismo era ormai considerato roba da vecchie reduci degli anni Sessanta, incazzate e acide: odiavano i maschi senza essere nemmeno lesbiche! Ai maschi non piaceva essere continuamente sviliti, offesi e odiati e, per di più, le (davvero) eroiche femministe degli anni Sessanta erano invecchiate e meno desiderate. Di conseguenza diventavano ancora più acide, incazzate e odiavano sempre di più i maschi, i quali trovavano soddisfazione con le ragazze più giovani, diventate molto più serenamente disponibili grazie alle battaglie delle vecchie.
Una soluzione intellettuale la si doveva trovare e allora si sostituì il vecchio femminismo – ormai diventato una battaglia contro i mulini a vento – con l’identità di genere.
Nel 1984 i/le giovani radical chic – ma anche i/le docenti che rimangono giovani a lungo nello spirito e continuano a comportarsi in modo adolescenziale tutta la vita – nei campus americani più prestigiosi non discutevano più di rivendicazioni, ma di identità di genere: “gender trouble” ci raccontava Judith Butler. Ci si domandava: a quale gruppo appartengo? Sono etero, bisex, lesbica, gay, transgenere o transessuale? E si inventavano varie categorie che a Raphael non interessavano affatto, ma con le quali doveva necessariamente confrontarsi.
A un certo punto la situazione si fece difficile per lui, quasi drammatica. Cominciò a essere evitato, almeno in pubblico, dalle ragazze poiché non era decoroso accompagnarsi e nemmeno rivolgere la parola a un “male chauvinist pig” (maiale maschio sciovinista) qual era considerato il povero Raphael che aveva come unico obiettivo, sereno e innocente, di soddisfare il proprio desiderio. Forse quel desiderio era eccessivo, ma in fondo gradito dalle donne che si prestavano a soddisfarlo con loro stesso grande ed evidente piacere secondo i dati del sondaggio.
Ma Raphael era un ragazzo intelligente e uno dei migliori nel dipartimento di ingegneria in cui studiava. Sebbene disinteressato a filosofeggiare sulle questioni di genere, si informò un poco e trovò la soluzione politicamente corretta e sessualmente efficiente. Cominciò a dire che lui era biologicamente un maschio, ma culturalmente si sentiva e agiva come una donna. Riteneva di avere una sensibilità tutta femminile e di provare di conseguenza un’attrazione di tipo assolutamente omosessuale per le donne. Lui faceva l’amore con loro come se fosse una donna, insomma era lesbica, anzi lesbico. Questo arzigogolato ragionamento ebbe grande successo tra le donne politicamente impegnate le quali finalmente poterono tornare ad accoppiarsi – ma anche solo a chiacchierare in bliblioteca – con Raphael senza temere di essere mal giudicate dai nuovi bigotti.